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Guarda-chuva


Finora mi era successo solo una volta. Arrivare in una città e lasciarmi commuovere dalla sua bellezza fino a farmi scendere una lacrima che, senza farmi vedere, cercavo di far asciugare dal vento tiepido. Sono stato a Roma diverse volte e ogni volta è sempre la stessa storia. Anzi no, perché la prima volta, nel gennaio del 2001, non mi era affatto piaciuta. L’avevo trovata squallida.. ma ero io a non essere ancora pronto.
Porto è un po’ così. Te ne innamori come quando ti innamori ed hai qualche anno in più; quando cioè capisci che ad innamorarsi dei pregi sono capaci tutti, ma la cosa difficile è riuscire ad innamorarsi dei difetti. E Porto, come Roma, ne ha molti. Di difetti. Ma gli si perdonano.

Porto è fragile nella sua decadenza e tu cerchi di non fare rumore mentre cammini per non disturbare quell’equilibrio instabile che da secoli la tiene lì, incollata alla terra che ripida si bagna nel Douro, quel lembo argentato che la separa da Gaia.

Le case lasciano intuire un grande passato, e mentre passeggio le insegne spente e rotte sono lì a ricordarmi di tramonti e fumi, musica e balli, futuro e speranza. Speranza disillusa però, perché Porto, come tutto il Portogallo, è una promessa non mantenuta. In eredità di quel grande avvenire infranto ci è rimasto il Fado, una musica popolare che racconta il tipico sentimento portoghese della saudade e parla ai cuori di emigrazione, lontananza, separazione, dolore e sofferenza.

Dopo aver trovato una stanza e l’inevitabile garage per la Panda, armato di entusiasmo ed un paio di cartine della città, mi accingo a visitarla scendendo per piccole vie tutt’altro che turistiche in direzione della riva del Douro. Scatto qualche foto e ancora prima che faccia buio arrivo al famoso quartiere della Ribeira.




È una splendida giornata di sole e prima di attraversare il ponte Luiz I per gustarmi la vista della città dall’altro lato del fiume decido di bermi un caffè stando seduto a guardare l’acqua che scorre..


Una volta sul ponte faccio qualche foto cercando di schivare i passanti. Uno di questi è una ragazza alla quale chiedo un’informazione. Non è del posto, poco male. Proseguiamo camminando vicini ed il fatto di essere entrambi soli in una nuova città ci fa abbattere rapidamente molte barriere, soprattutto linguistiche, dato che lei è brasiliana ed io mi ero appena abituato ai suoni del portoghese “portoghese”.
Vive a Lisbona da sei mesi ma vuole venire a vivere a Porto, per questo ha con sé una cartelletta piena di curriculum che distribuisce ai vari locali e alle varie cantine che incontriamo lungo la passeggiata. Io le chiedo un paio di volte come si chiama, ma ogni volta me lo dimentico. A pensarci adesso è facile. Ha il nome di due fiori che si abbracciano: Rosiris!

Appena finito il ponte l’avevo invitata per l’indomani a bere qualcosa assieme, ma poche centinaia di metri dopo era chiaro che non morisse dalla voglia di distribuire curriculum in quel (fino a quel momento) tiepido pomeriggio. Dopo una mezz’ora quindi eravamo seduti assieme alla cantina Sandeman a gustare due bicchieri di Porto. Un White ed un Tawny.

Comunicare è facile, facile come pensare.. quando ci si vuole capire e ci si lascia andare. Solo due cose avrebbero a quel punto potuto interromperci, ed il caso ha voluto che entrambe ci presentassero il conto, ancora prima dell’ora di cena. Lei aveva un appuntamento con una sua amica e soprattutto nel frattempo aveva iniziato a piovere a dirotto e noi dovevamo tornare dall’altra parte del fiume senza che nessuno dei due avesse un guarda-chuva.


L’indomani ho tutto il tempo per perdermi per le vie di Porto; non piove ma fa parecchio freddo. Parecchio almeno per chi oramai è abituato al caldo andaluso.
In serata Rosiris organizza una cena con la sua amica e mi invita. Sembra un miracolo, l’ennesimo di questo viaggio: sono in una nuova città da più o meno ventiquattr’ore ed ho già degli amici. È uno strano modo di intendere l’amicizia però la sua. Mi cerca molto con lo sguardo ed in più di un’occasione, a tavola, mi prende le mani con le sue..

Finita la cena ci dirigiamo tutti e tre verso casa della sua amica. Quando arriviamo ci saluta e noi rimaniamo da soli. Parliamo del Brasile, del mio viaggio, degli affetti rimasti sull’altra sponda dell’oceano e senza chiedercelo ci ritroviamo nella mia stanza. Proviamo a comunicare con l’aiuto di una piccola guida al portoghese che mi ero portato da Milano, ma in fondo, a quel punto, non serve più. Parliamo, parliamo ancora.. e contemporaneamente ci avviciniamo sempre di più..

Non sono sicuro di quanto tempo sia trascorso, ma dal lucernario cominciamo a sentire il ticchettio della pioggia. Realizziamo che nessuno dei due ha con sé un guarda-chuva ed il film s’interrompe. Prima che la pioggia aumenti lei se ne va ed io rimango così, intontito a pensare che il destino è spesso splendido e crudele assieme.

A volte, ripensandoci, sono convinto che avrei potuto anche lasciarmi innamorare dai suoi occhi, se solo avessi una vita in più..